Tutto ciò che HR, imprenditori e fleet manager devono sapere per gestire correttamente le auto aziendali
“Un dipendente riceve le chiavi di un’auto aziendale ad uso promiscuo.” L’uso promiscuo dell’auto aziendale – ossia per scopi sia lavorativi che personali – è un fenomeno diffuso nel mondo del lavoro italiano, considerato parte del welfare aziendale e del pacchetto retributivo.
Origini storiche dell’auto aziendale ad uso promiscuo
L’assegnazione di automobili ai dipendenti nasce nel secondo dopoguerra come benefit aziendale riservato inizialmente a dirigenti e figure commerciali. Già dagli anni ’60-’70, con la motorizzazione di massa, le grandi imprese italiane cominciarono a fornire vetture ai propri dipendenti per esigenze di servizio, consentendone spesso l’uso personale al di fuori dell’orario di lavoro. Negli anni ’80 l’auto aziendale divenne un elemento sempre più comune dei piani retributivi, spingendo il legislatore a definire regole fiscali specifiche. In particolare, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) del 1986 inquadra formalmente l’auto aziendale ad uso promiscuo come fringe benefit soggetto a tassazione. Ciò segnò il passaggio da una valutazione caso per caso dell’utilizzo personale dell’auto (in passato basata su stime dei costi effettivi di percorrenza privata) a un criterio forfettario uniforme stabilito per legge.
Le prime normative introdussero un metodo standard per quantificare il valore dell’uso privato: già dalla fine degli anni ’80, il valore del benefit venne forfettizzato nel 30% di una percorrenza annua convenzionale di 15.000 km, calcolata secondo i costi chilometrici determinati dall’Automobile Club d’Italia (le cosiddette Tabelle ACI). In pratica, al dipendente venivano imputati a tassazione 4.500 km annui (cioè il 30% di 15.000) ai costi standard ACI del veicolo, indipendentemente dall’effettivo utilizzo personale. Questo modello, mutuato da prassi emergenti in altri paesi, si diffuse rapidamente: l’auto aziendale ad uso promiscuo divenne comune non solo per dirigenti, ma anche per quadri e figure commerciali, quale strumento di lavoro e incentivo fidelizzante. Sul finire degli anni ’90 e nei 2000 il parco auto aziendale crebbe notevolmente e si strutturò: molte imprese iniziarono ad affidarsi a società di noleggio a lungo termine per la fornitura e gestione delle flotte, consolidando prassi uniformi sull’uso privato e introducendo regolamenti interni (car policy) per disciplinare il benefit. In sintesi, l’uso promiscuo dell’auto aziendale ha radici decennali in Italia, evolvendosi da concessione informale a istituto contrattuale e fiscale ben definito.
Inquadramento giuridico e responsabilità di azienda e dipendente
Dal punto di vista giuridico, l’auto concessa in uso promiscuo resta di proprietà dell’azienda, ma il dipendente ne ha la disponibilità per un duplice utilizzo: lavorativo e personale. Generalmente, l’assegnazione avviene mediante un accordo scritto (spesso un contratto di comodato d’uso o una policy di assegnazione) che stabilisce condizioni e limiti d’uso. Questo documento definisce chi può guidare il veicolo, le responsabilità in caso di danni o infrazioni, e gli obblighi di manutenzione e restituzione. Di norma, salvo diversa previsione, solo il dipendente assegnatario può condurre l’auto; l’eventuale estensione a familiari stretti (coniuge, figli) deve essere espressamente autorizzata dall’azienda e prevista dalla polizza assicurativa. In mancanza di tale previsione, l’uso da parte di terzi è vietato e potrebbe comportare violazione delle condizioni di assegnazione.
Obblighi assicurativi e copertura dei rischi
L’azienda ha l’obbligo legale di assicurare il veicolo con adeguata R.C. Auto per la responsabilità civile verso terzi. Le auto a uso promiscuo sono in genere coperte da polizze flotte aziendali, che semplificano la gestione assicurativa con un’unica polizza omnibus. Questa copertura tutela sia l’azienda (proprietario) sia il dipendente (conducente autorizzato) per i danni causati a terzi in caso di incidente. Se il dipendente provoca un sinistro durante la guida dell’auto aziendale, verso il terzo danneggiato risponde innanzitutto l’assicurazione R.C. Auto stipulata dal datore di lavoro, civilmente il proprietario del veicolo (l’azienda) è corresponsabile ai sensi dell’art. 2054 Codice Civile, e può essere chiamato a risarcire i danni non coperti dall’assicurazione. L’azienda in tal caso ha facoltà di rivalsa sul dipendente, soprattutto se il sinistro è dovuto a colpa grave di quest’ultimo. Per tutelarsi, molte aziende estendono le coperture con garanzie aggiuntive (ad es. polizze kasko o collision) oppure prevedono clausole contrattuali in cui il dipendente accetta di partecipare ai costi dei danni causati per propria responsabilità.

auto aziendale uso promiscuo
Il dipendente dal canto suo ha il dovere di usare il mezzo con diligenza e nel rispetto delle norme del Codice della Strada. In caso di incidente causato per sua colpa, possono profilarsi diversi livelli di responsabilità verso l’azienda: per negligenza lieve spesso si limita il rimborso a una quota simbolica del danno, per colpa media l’eventuale addebito può arrivare fino a un importo pari a una mensilità di stipendio, mentre per colpa grave o dolo il lavoratore può essere chiamato a rispondere integralmente dei danni materiali, Inoltre, se il sinistro provoca lesioni gravi o morte di terzi, il dipendente conducente ne risponde anche penalmente, al pari di qualsiasi altro cittadino, per reati come l’omicidio stradale o lesioni personali stradali. L’azienda potrebbe a sua volta incorrere in profili di responsabilità penale qualora l’evento sia riconducibile a sue omissioni (ad es. mancata manutenzione del veicolo): una scarsa cura del mezzo aziendale, violando l’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. e D.Lgs. 81/2008, può causare incidenti con addebito al datore di lavoro. Per questo motivo è fondamentale che l’azienda garantisca la manutenzione regolare dell’auto e informi il dipendente di eventuali difetti o caratteristiche particolari del veicolo. Un mezzo aziendale è infatti equiparato a uno strumento di lavoro: il datore deve assicurarsi che sia in condizioni di sicurezza, effettuando controlli periodici (tagliandi, revisioni) e intervenendo tempestivamente su guasti segnalati.
Multe, infrazioni e profili amministrativi
L’utilizzo promiscuo comporta anche la gestione delle multe e infrazioni del Codice della Strada commesse dal dipendente alla guida dell’auto aziendale. In base all’art. 196 CdS, il proprietario del veicolo è obbligato in solido al pagamento delle sanzioni pecuniarie insieme al conducente. Ciò significa che la multa viene notificata all’azienda (intestataria del mezzo), la quale ha l’obbligo di comunicare all’autorità i dati del dipendente che era alla guida al momento dell’infrazione (ai fini dell’addebito dei punti patente, art. 126-bis CdS). Il pagamento della sanzione è a carico del dipendente, in quanto autore dell’illecito amministrativo, ma se questi non provvede entro i termini, l’ente accertatore potrà esigere il pagamento dall’azienda in quanto responsabile solidale. L’azienda in tal caso potrà rivalersi sul lavoratore per recuperare l’importo pagato. Molte imprese disciplinano questi aspetti nella car policy, stabilendo che tutte le contravvenzioni commesse nell’uso del veicolo aziendale (sia in orario di lavoro sia durante l’uso privato) siano integralmente a carico del dipendente, prevedendo procedure interne per la notifica tempestiva delle multe al driver e l’eventuale addebito in busta paga. Anche il rimborso pedaggi e parcheggi segue criteri analoghi: le spese sostenute per esigenze lavorative sono rimborsate dall’azienda dietro rendiconto, mentre quelle per uso personale restano a carico del dipendente.
In sintesi, l’utilizzo promiscuo dell’auto aziendale crea una corresponsabilità tra impresa e dipendente. L’azienda è tenuta a fornire un mezzo sicuro, assicurato e conforme alle norme, vigilando sul corretto utilizzo (anche tramite istruzioni e formazione al dipendente). Il lavoratore deve attenersi alle policy e alle leggi, pena sanzioni disciplinari (fino al ritiro del benefit o al licenziamento in casi estremi di abuso), oltre all’obbligo di risarcire eventuali danni per colpa grave. Un dialogo chiaro sulle responsabilità e una copertura assicurativa completa sono essenziali per mitigare i rischi civili e penali connessi all’uso promiscuo.
Auto aziendale ad uso promiscuo: come funziona ?
Aspetti fiscali e tributari: IRPEF, contributi, IVA e fringe benefit
Dal punto di vista fiscale, l’auto aziendale a uso promiscuo configura un fringe benefit imponibile per il dipendente. In altre parole, l’uso personale del veicolo costituisce reddito da lavoro dipendente in natura e come tale va valorizzato in busta paga ai fini IRPEF (e contribuitivi). La normativa di riferimento, l’art. 51 del TUIR, stabilisce che “il reddito da lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti… in relazione al rapporto di lavoro”, includendo quindi anche i vantaggi economici derivanti dall’uso di beni aziendali a fini privati. Lo stesso art. 51, al comma 4 lett. a), definisce il criterio di calcolo di tale beneficio per autoveicoli concessi ad uso promiscuo: convenzionalmente si assume il 30% di una percorrenza annua di 15.000 km calcolata sui costi chilometrici ACI, al netto di eventuali trattenute a carico del dipendente. Questa regola generale, rimasta invariata per molti anni, ha quantificato il fringe benefit imponibile in misura forfettaria indipendente dall’effettivo utilizzo personale del mezzo. Da notare che se il dipendente utilizza il veicolo solo per trasferte lavorative (uso esclusivamente aziendale, senza uso privato), non sorge alcun fringe benefit tassabile.

Tassazione IRPEF e contributiva del benefit
Il valore imponibile calcolato con il metodo suddetto va ad incrementare il reddito annuo del dipendente. L’azienda, come sostituto d’imposta, è tenuta ad aggiungere tale importo nella busta paga del lavoratore (di solito rateizzandolo mensilmente) e ad applicare le ritenute IRPEF corrispondenti. Lo stesso importo concorre anche alla formazione del reddito imponibile previdenziale, risultando assoggettato ai contributi INPS a carico sia del dipendente che del datore di lavoro. In sostanza, l’uso promiscuo dell’auto incrementa sia le tasse sul reddito sia i contributi sociali dovuti, come avviene per una componente salariale aggiuntiva.
Tuttavia, la normativa consente di detrarre dall’importo forfettario eventuali contributi del dipendente ai costi. Ad esempio, se l’azienda addebita al lavoratore una quota per l’uso personale (mediante trattenuta in busta paga o rimborso spese), tale cifra viene sottratta dal valore del fringe benefit tassabile. È importante che questo contributo sia considerato al lordo dell’IVA. In pratica, se al dipendente è richiesto di pagare una certa somma mensile per l’auto ad uso promiscuo, il benefit imponibile si riduce di pari importo (fino ad azzerarsi, se il contributo coprisse per intero il valore forfettario). Nella prassi, alcune aziende applicano questo principio facendo partecipare il dipendente alle spese di carburante privato o richiedendo un piccolo canone di utilizzo per l’auto, così da ridurre il carico fiscale in busta paga.
Evoluzione delle aliquote fringe benefit: dall’importo forfettario alle emissioni CO2
Per molti anni – fino al 2020 – la misura imponibile è rimasta fissata al 30% di 15.000 km annui a prescindere dalle caratteristiche del veicolo. Questa aliquota unica è stata a lungo oggetto di dibattito, poiché implicava una tassazione relativamente favorevole (solo il 30%) anche per auto molto potenti e inquinanti, e al contempo tassava allo stesso modo i veicoli ecologici. Con la Legge di Bilancio 2020 il legislatore ha introdotto una rimodulazione “green” del fringe benefit. In linea con le politiche europee di tassazione proporzionale alle emissioni, è stato deciso che per le auto di nuova immatricolazione concesse dal 1° luglio 2020 si applicassero percentuali differenziate in base alla CO₂ dichiarata. Nello specifico, per i contratti dal 1/7/2020 relativi a veicoli con emissioni fino a 60 g/km (tipicamente auto elettriche o ibride molto efficienti) la quota imponibile scende al 25% del costo forfettario annuo. Per i veicoli con emissioni superiori a 60 g/km e fino a 160 g/km (auto tradizionali a bassa/media emissione) rimane al 30%. Inoltre, per i veicoli più inquinanti la tassazione è stata inasprita: emissioni da 160 a 190 g/km comportano un fringe benefit al 50% e oltre i 190 g/km si sale al 60%. Queste ultime aliquote maggiorate sono entrate in vigore dal 1° gennaio 2021.
Il risultato di tale riforma è stato un sistema a quattro scaglioni (25%-30%-50%-60%) basato sull’impatto ambientale del veicolo. Ad esempio, un’auto elettrica concessa nel 2021 avrebbe generato un benefit tassabile pari a 3.750 km (25% di 15.000) ai costi ACI, mentre un SUV diesel oltre 190 g/km avrebbe comportato 9.000 km tassabili (60% di 15.000). Questa politica mirava a disincentivare la concessione di auto aziendali molto inquinanti e favorire la scelta di modelli ecologici. Si noti che le nuove regole si applicavano solo ai veicoli di nuova immatricolazione assegnati dopo luglio 2020, mentre per le auto già in uso precedentemente restava valido il regime del 30% fisso (fino all’eventuale sostituzione del mezzo). Ciò ha creato fino al 2024 una coesistenza di diversi criteri a seconda dell’anzianità del contratto.
Quali sono le condizioni per la detrazione fiscale per un’auto aziendale a uso promiscuo?
Novità dal 2025: tassazione per tipologia di alimentazione
L’attenzione alla mobilità sostenibile ha portato a un’ulteriore evoluzione con la Legge di Bilancio 2025 (L. 30 dicembre 2024 n. 207). Dal 1° gennaio 2025 il calcolo del fringe benefit per le nuove auto aziendali assegnate in uso promiscuo è stato riformato privilegiando direttamente la tipologia di alimentazione del veicolo, in un’ottica di facilitare la transizione energetica. La nuova norma (che modifica l’art. 51 TUIR comma 4 lett. a) dispone che per i veicoli immatricolati e concessi a decorrere dal 1/1/2025 il valore imponibile forfettario sia pari al 50% del costo 15.000 km (quindi 7.500 km)Tale percentuale base subisce riduzioni significative per le auto a basse emissioni: solo 20% (3.000 km) per le auto ibride plug-in e appena 10% (1.500 km) per le auto 100% elettriche. In pratica, tutte le vetture a combustione interna (benzina, diesel, GPL, metano) e anche le ibride non ricaricabili verranno tassate al 50% indipendentemente dalla CO₂ emessa, mentre le plug-in hybrid godranno di un forte sconto (20%) e le elettriche di un trattamento ancora più favorevole (10%).

Questa nuova impostazione del piano europeo semplifica gli scaglioni (basati su tecnologia e non più su soglie di grammi/km) e penalizza i veicoli tradizionali a vantaggio di quelli a ridotto impatto ambientale. Va evidenziato che la modifica vale solo per i contratti nuovi dal 2025; le auto assegnate precedentemente continuano a seguire il regime precedente fino a naturale sostituzione. L’obiettivo dichiarato è incentivare la diffusione di veicoli aziendali elettrici e plug-in, premiando i dipendenti (che vedono ridursi l’imponibile in busta paga) e indirettamente le aziende che investono in flotte più green. Con 1.500 km tassati, un’auto elettrica aziendale diventa estremamente conveniente dal punto di vista fiscale per il dipendente, favorendone la scelta al posto di modelli tradizionali. Questa evoluzione normativa si inserisce nelle misure per la transizione ecologica e anticipa i trend futuri verso flotte a emissioni zero.
Deduzione dei costi per l’azienda e imposte indirette (IVA)
Oltre agli aspetti IRPEF per il dipendente, l’uso promiscuo dell’auto aziendale ha implicazioni fiscali anche per l’azienda in termini di deducibilità dei costi e detraibilità IVA. La normativa italiana, in particolare l’art. 164 TUIR, distingue tra veicoli ad uso esclusivamente aziendale e veicoli a uso promiscuo o non esclusivo. Per le auto non utilizzate esclusivamente per l’attività (categoria in cui rientrano le vetture assegnate promiscuamente ai dipendenti), la deduzione fiscale dei costi è limitata generalmente al 20% dei costi con alcuni tetti massimi (es: 18.075,99 € sul costo di acquisto). Tuttavia, esiste un trattamento di favore per i mezzi concessi come fringe benefit: i costi delle auto date in uso promiscuo ai dipendenti sono deducibili al 70% senza i limiti di importo previsti per le autovetture non assegnate. In pratica, se un’azienda assegna l’auto al dipendente facendola rientrare nel reddito di questi, può dedurre dal proprio reddito d’impresa il 70% di tutte le spese relative (ammortamento o canone di leasing/noleggio, carburanti, assicurazione, manutenzione) e non è soggetta al tetto dei 18.075,99 € sul valore del veicolo. Questo regime rende fiscalmente conveniente per l’azienda offrire l’auto in uso promiscuo, in quanto la percentuale di deduzione è molto più alta rispetto al semplice 20% di un’auto aziendale non assegnata. Va aggiunto che, qualora il destinatario dell’auto sia un amministratore non dipendente o un collaboratore, si applicano regole leggermente diverse (deducibilità del 100% dei costi fino a concorrenza del fringe benefit imputato, e 20% per l’eccedenza), ma nel contesto di dipendenti e dirigenti la regola del 70% è quella tipica.
Per quanto riguarda l’IVA, la normativa italiana – in deroga a quella ordinaria UE – prevede una detraibilità forfettaria del 40% dell’IVA relativa all’acquisto e alle spese di gestione delle auto aziendali non utilizzate esclusivamente per fini professionali. Questa misura, introdotta nel 2007 e costantemente prorogata (da ultimo fino al 31/12/2025), riconosce la difficoltà di separare l’uso aziendale da quello privato e fissa un forfet del 40% come quota di IVA recuperabile. Pertanto, l’azienda proprietaria o locataria di un’auto concessa a un dipendente può detrarre soltanto il 40% dell’IVA pagata sull’acquisto, sul leasing/noleggio e sulle spese (carburanti, manutenzione, pedaggi, etc.), dovendo il restante 60% considerarlo indetraibile (costo). Fanno eccezione solo i veicoli strumentali per natura (es. taxi, autoscuole, veicoli commerciali) o assegnati a agenti di commercio, per cui l’IVA è interamente detraibile o in percentuali maggiori, ma non è il caso dell’auto promiscua a un dipendente. In sintesi, dal lato aziendale l’auto a uso promiscuo comporta alcuni vincoli fiscali: da un lato un significativo vantaggio in termini di deduzione dei costi (70%), dall’altro una limitazione strutturale alla detrazione IVA (40%). La convenienza complessiva va valutata caso per caso, ma in generale il welfare fiscale collegato alle auto aziendali ha reso tale benefit piuttosto diffuso in Italia anche grazie a questi meccanismi che bilanciano oneri per il dipendente e vantaggi per l’impresa.
Policy aziendali e gestione del parco auto
Dal punto di vista organizzativo, ogni azienda che assegna auto ai dipendenti dovrebbe dotarsi di una car policy chiara, cioè un regolamento interno che disciplini criteri di assegnazione, utilizzo e gestione delle vetture aziendali. Tale policy è uno strumento fondamentale per definire aspettative e responsabilità, oltre che per uniformare le prassi nel rispetto delle normative. I principali elementi che una policy sul parco auto fleet tipicamente copre includono:
- Criteri di assegnazione: quali ruoli aziendali hanno diritto all’auto aziendale (es. dirigenti, quadri, venditori, tecnici sul territorio), con quale categoria di veicolo e con quali limiti di spesa. Spesso si definiscono car list o fasce di autovetture (per es. utilitaria, berlina media, SUV) corrispondenti al livello del dipendente. L’assegnazione può essere necessaria per lo svolgimento del lavoro (strumentale) o volta al benessere del dipendente (fringe benefit puro); in ogni caso è opportuno che l’azienda valuti il TCO (Total Cost of Ownership) del veicolo e ne pianifichi il ciclo di vita (durata del leasing/noleggio, chilometraggio previsto, etc.).
- Regole d’uso e limitazioni: vengono specificati gli ambiti di utilizzo consentiti. Ad esempio, molte aziende limitano la guida ai dipendenti assegnatari e ai familiari conviventi (purché autorizzati e patentati), vietando l’uso da parte di terzi non autorizzati. Possono esserci restrizioni territoriali (es. divieto di condurre l’auto all’estero senza permesso) o il divieto di utilizzo per attività personali a fini di lucro (come car-sharing o consegne private). La policy in genere proibisce espressamente qualsiasi uso illecito del veicolo e ribadisce l’obbligo di rispettare Codice della Strada e norme aziendali, prevedendo sanzioni disciplinari in caso di abusi.
- Obblighi del dipendente: al driver sono richiesti comportamenti diligenti, come mantenere il veicolo in buono stato, effettuare i tagliandi e le revisioni programmati (spesso gestiti dall’azienda o dalla società di noleggio), custodire l’auto in luogo sicuro e informare tempestivamente in caso di guasti, incidenti o furto. Inoltre deve mantenere patente valida e notificarne all’azienda l’eventuale sospensione o ritiro. Alcune policy richiedono al dipendente di sostenere personalmente piccole spese (ad es. lavaggi, multe) e di attenersi a regole di decoro (es. non fumare a bordo, trattandosi di bene aziendale).
- Costi carburante e spese di esercizio: un tema frequente è come vengono ripartiti i costi del carburante tra azienda e dipendente. Tipicamente, la carburante per uso lavorativo è a carico dell’azienda, mentre quello per uso privato è a carico del dipendente. Molte imprese forniscono una fuel card con cui il dipendente effettua i rifornimenti; a fine mese il dipartimento fleet o HR può richiedere una rendicontazione per distinguere i km percorsi per lavoro (rimborsabili) da quelli personali. In alternativa, se il dipendente anticipa il costo, l’azienda riconosce un rimborso chilometrico per i km di servizio, calcolato secondo le tariffe ACI. Per i tragitti privati, alcune aziende addebitano al lavoratore una quota mensile forfettaria di carburante oppure utilizzano le stesse tabelle ACI per calcolare il costo chilometrico e trattenerlo dallo stipendio. È prassi che il carburante per uso privato non sia rimborsato e rimanga a carico del dipendente, salvo eventuali buoni carburante concessi come welfare aggiuntivo. Questa gestione mista garantisce equità: il dipendente non paga le trasferte di lavoro e l’azienda non finanzia gli spostamenti personali extra-lavorativi.
- Monitoraggio e controllo: per assicurare il rispetto delle regole, le aziende possono adottare vari strumenti. Alcune richiedono la compilazione di un registro chilometrico dove annotare i km percorsi distinguendo lavoro vs privato; altre si affidano alla tecnologia installando sistemi di localizzazione GPS a bordo. I moderni sistemi di fleet management permettono di monitorare in tempo reale l’utilizzo del veicolo (percorsi, soste, stili di guida), aiutando a prevenire usi impropri e a ottimizzare i costi (es. segnalando condotte eccessivamente velocistiche o consumi anomali). Ovviamente tali controlli devono rispettare la privacy del dipendente e le normative sul trattamento dei dati, prevedendo ad esempio modalità di oscuramento dei dati durante l’uso personale se non strettamente necessari. In ogni caso, trasparenza e informazione sono fondamentali: il dipendente va reso consapevole dei controlli e delle finalità (principalmente tutela del patrimonio aziendale e sicurezza).
- Best practice e formazione: un buon programma di gestione delle flotte prevede anche iniziative di formazione dei driver (es. corsi di guida sicura ed ecologica) per ridurre il rischio di incidenti e contenere i consumi di carburante. Vengono inoltre implementate best practice come la manutenzione preventiva (controlli periodici su gomme, freni, ecc.), la rotazione del parco auto per mantenere i mezzi efficienti e aggiornati, e l’adozione di indicatori KPI (costo/km, emissioni medie, numero di incidenti per milione di km) per monitorare la performance della gestione auto. Le aziende più avanzate stanno anche introducendo programmi di car sharing aziendale: invece di assegnare auto individuali a dipendenti con basso chilometraggio personale, si creano pool di veicoli condivisi prenotabili per le sole necessità di servizio, combinando l’uso aziendale esclusivo con formule di mobilità più flessibili.
In sintesi, la gestione del parco auto aziendale con veicoli ad uso promiscuo richiede equilibrio e chiarezza: l’azienda deve fornire linee guida dettagliate e assicurare strumenti di controllo adeguati, mentre il dipendente deve essere consapevole dei propri obblighi e dell’onere/beneficio connesso all’avere un’auto aziendale a disposizione. Una solida car policy, condivisa al momento dell’assegnazione del veicolo (magari facendola sottoscrivere al dipendente), è fondamentale per prevenire malintesi e garantire una fruizione responsabile del benefit.

Evoluzione normativa recente e tendenze future
Negli ultimi anni il quadro normativo sull’uso promiscuo delle auto aziendali si è evoluto rapidamente, riflettendo sia istanze di equità fiscale sia obiettivi di sostenibilità ambientale. La svolta del 2020, con l’introduzione di una tassazione modulata sulle emissioni di CO₂, e quella del 2025, con l’ulteriore incentivo a favore di veicoli elettrificati, indicano chiaramente la direzione: utilizzare la leva fiscale per orientare le scelte delle aziende e dei dipendenti verso mezzi meno inquinanti. Questa tendenza normativa è destinata a proseguire. Ci si può aspettare, in futuro, ulteriori misure a sostegno della mobilità sostenibile nel contesto aziendale: ad esempio, possibili crediti d’imposta o contributi per l’installazione di infrastrutture di ricarica elettrica nelle sedi aziendali, o agevolazioni per forme di mobilità alternativa (car sharing, abbonamenti al trasporto pubblico per dipendenti, mobility budget in sostituzione dell’auto). Già oggi alcune aziende, in parallelo all’auto aziendale tradizionale, offrono ai propri dipendenti soluzioni di mobilità flessibile come parte del welfare (noleggio di breve durata, utilizzo di veicoli aziendali condivisi, ecc.), anticipando quelle che potrebbero diventare pratiche comuni in un’ottica di razionalizzazione del parco auto e riduzione dell’impronta ecologica.
Dal punto di vista tecnologico, l’elettrificazione delle flotte sarà un tema centrale: la progressiva dismissione dei veicoli endotermici (anche in vista degli obiettivi UE di stop alla vendita di auto nuove a benzina/diesel dal 2035) implica che sempre più auto aziendali saranno elettriche o ibride nel prossimo decennio. Questo comporterà nuove sfide gestionali: le aziende dovranno dotarsi di infrastrutture di ricarica (presso l’ufficio o convenzioni per la ricarica domestica dei dipendenti), pianificare i tempi di rifornimento energetico, formare gli utilizzatori all’uso efficiente delle batterie e magari ripensare i criteri di assegnazione considerando l’autonomia dei veicoli in relazione alle percorrenze richieste dal ruolo. D’altro canto, i costi operativi inferiori delle auto elettriche (in termini di carburante ed eventuale manutenzione) potranno liberare risorse da reinvestire, e la tassazione agevolata (10% del fringe benefit) le rende doppiamente attraenti. Non è da escludere che, col diffondersi massiccio di veicoli a zero emissioni, in futuro il legislatore possa rivedere nuovamente le percentuali imponibili (attualmente così basse per elettriche e plug-in) per adeguarle a un nuovo “normale” tecnologico – ma nel breve termine l’intento è chiaramente di accelerare la transizione premiando chi adotta mezzi ecologici.
Uso promiscuo auto aziendale: cosa prevede la legge e cosa cambia dal 2025
Un’altra tendenza da monitorare è l’andamento del mercato del noleggio a lungo termine e delle flotte aziendali. Le associazioni di categoria (come ANIASA) hanno evidenziato come bruschi cambi normativi possono creare incertezza e frenare il rinnovo delle flotte. Ad esempio, l’entrata in vigore della nuova tassazione 2025 ha spinto molte aziende a ordinare veicoli entro fine 2024 per poter usufruire ancora delle vecchie regole (più favorevoli per le auto tradizionali). Ciò ha richiesto l’introduzione di regimi transitori per i veicoli ordinati ma consegnati nel 2025, evitando disparità di trattamento. In futuro, sarebbe auspicabile una maggiore certezza e gradualità nelle norme fiscali, così da permettere a imprese e operatori di pianificare gli acquisti senza subire repentini aggravi. Allo stesso tempo, il dialogo tra Governo e industria automotive/flotte dovrà proseguire per trovare un equilibrio tra obiettivi ambientali e impatti sul settore (che in Italia rappresenta una quota notevole delle immatricolazioni). Basti pensare che in alcuni paesi europei oltre metà delle nuove auto immatricolate ogni anno sono aziendali (in Germania il 64% nel 2017, nei Paesi Bassi circa il 50%); in Italia la percentuale è minore ma comunque significativa, il che rende le scelte sulle auto aziendali un driver di mercato importante sia per le emissioni complessive sia per il ricambio del parco circolante.
Infine, non va dimenticato l’aspetto della cultura aziendale e organizzativa: l’auto aziendale ad uso promiscuo, da status symbol quale era in passato, potrebbe gradualmente perdere importanza presso le nuove generazioni di lavoratori, più sensibili ad alternative di mobilità sostenibile. Già oggi alcune imprese offrono in opzione un cash benefit o un flexible benefit in luogo dell’auto, per chi preferisce rinunciarvi; altre investono in flotte di auto ibride/elettriche condivise tra dipendenti, integrandole con soluzioni come navette aziendali o buoni taxi per esigenze occasionali. Tali strategie, se da un lato riducono il numero di auto circolanti, dall’altro pongono nuove sfide di gestione e assicurazione, ma sono incentivate anche dalle politiche pubbliche (si pensi ai benefici concessi ai mobility manager aziendali, obbligatori per le grandi imprese ai sensi del Decreto Rilancio 2020, nel promuovere piani di spostamento casa-lavoro).
L’istituto dell’auto aziendale ad uso promiscuo in Italia è in continua evoluzione. Nato diversi decenni fa come elemento di welfare e strumento di lavoro, è oggi regolato da un quadro normativo articolato che ne definisce oneri e vantaggi per tutte le parti in causa. Il fleet manager, l’imprenditore e il responsabile HR devono tenersi aggiornati su queste evoluzioni per gestire al meglio il parco auto: dalla conformità legale (fiscale e assicurativa) alla definizione di policy efficaci, fino alla pianificazione delle scelte future in chiave sostenibile. Saper bilanciare gli aspetti economici, normativi e organizzativi dell’uso promiscuo dell’auto aziendale sarà sempre più cruciale per coniugare la soddisfazione dei dipendenti con l’efficienza e la responsabilità sociale dell’impresa.